TRIBUNALE PER I MINORENNI DI FIRENZE 
           Ufficio del giudice per le indagini preliminari 
 
    Il giudice per le indagini preliminari Massimiliano Signorini, 
    vista la richiesta presentata in data 12  luglio  2018  dall'avv.
Michele Passione del Foro di Firenze volta ad ottenere la sospensione
del procedimento nel corso delle indagini preliminari con messa  alla
prova del proprio assistito Q.G., nato a ...  il  ...,  residente  in
..., elettivamente domiciliato presso  lo  studio  dell'avv.  Michele
Passione, indagato nel procedimento n. 229/17 R.G.N.R. della  Procura
della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Firenze per i
reati di violenza privata e di lesione personale  aggravata  ex  art.
585 del codice penale, in relazione agli articoli 576 e 61 n.  2  del
codice penale, commessi il 23 dicembre 2016; 
    rilevato che la trattazione del procedimento e' stata assegnata a
questo giudice in data 11 dicembre 2018; 
    esaminati gli atti trasmessi dal pubblico ministero; 
    esaminata la relazione dell'U.S.S.M. di Firenze  del  7  febbraio
2019; 
    sentiti l'interessato ed il suo difensore  nell'udienza  camerale
del 25 febbraio 2019, 
 
                               Osserva 
 
    1. In data 6 luglio 2018 Q.G. ha ricevuto la notifica dell'avviso
di conclusione delle indagini preliminari di cui al  procedimento  n.
229/17 R.G.N.R. della Procura della Repubblica  presso  il  Tribunale
per i minorenni di Firenze, relativo ai reati di violenza  privata  e
lesione personale aggravata  in  epigrafe  indicati  commessi  il  23
dicembre 2016 all'eta' di sedici anni. 
    Con istanza depositata il 12 luglio 2018, l'interessato,  tramite
il proprio difensore di fiducia, ha chiesto, in  via  principale,  la
sospensione del procedimento con messa alla prova, con fissazione  di
apposita udienza camerale per sentire le parti e per  la  valutazione
dell'eventuale progetto di intervento  da  concordare  con i  servizi
minorili dell'amministrazione della giustizia;  in  via  subordinata,
l'interessato ha chiesto che il giudice per le indagini preliminari -
giudice competente in relazione alla fase nell'ambito della quale  e'
stata formulata la richiesta  -  sollevi  eccezione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  28  del  decreto  del   Presidente   della
Repubblica n. 448 del 1988 per contrasto  con  gli  articoli  3,  24,
comma 2, 27, comma 3, 31, comma 2, e 117  della  Costituzione,  nella
parte in cui non prevede che il giudice possa disporre la messa  alla
prova nella fase delle indagini preliminari. 
    La sospensione del procedimento con messa alla  prova  nel  corso
delle indagini preliminari e'  prevista,  per  gli  indagati/imputati
maggiorenni,  dall'art.  464-ter  del  codice  di  procedura  penale,
nell'ambito del Titolo V-bis, inserito  dalla  legge  n.  67  del  28
aprile   2014,   per   finalita'   essenzialmente   deflattive.    Il
procedimento, in sintesi, prevede la presentazione della richiesta da
parte  dell'indagato  (personalmente  o  per  mezzo  di   procuratore
speciale) direttamente al giudice, il quale dispone  la  trasmissione
degli atti al pubblico ministero affinche' esprima il consenso  o  il
dissenso nel termine di  cinque  giorni;  se  il  pubblico  ministero
esprime, con atto scritto e sinteticamente motivato, il consenso alla
richiesta, e' tenuto anche alla formulazione dell'imputazione (a  tal
riguardo  la  giurisprudenza  di  legittimita'   ha   precisato   che
l'imputazione formulata dal pubblico  ministero  ai  sensi  dell'art.
464-ter, comma terzo, del codice di procedura penale,  ha  la  stessa
natura di esercizio dell'azione penale di quella  prevista  dall'art.
405 del codice di procedura penale: cfr. Cassazione pen., sezione IV,
sentenza n. 29093 dell'11 aprile 2018 - 22 giugno 2018, rv. 273721  -
01); sulla base del consenso  prestato  dal  pubblico  ministero  con
contestuale formulazione dell'imputazione, il giudice,  se  non  deve
pronunciare sentenza di proscioglimento a  norma  dell'art.  129  del
codice di procedura penale, fissa, ove non possa decidere  nel  corso
della stessa udienza, apposita udienza  in  camera  di  consiglio  ai
sensi dell'art. 127 del codice di  procedura  penale  facendone  dare
avviso alle parti e alla persona offesa; in seguito a  tale  udienza,
il giudice dispone la sospensione del  procedimento  con  messa  alla
prova quando, tenuto conto dei parametri  di  cui  all'art.  133  del
codice penale, reputa idoneo il programma di  trattamento  presentato
(ferma restando la possibilita' di integrazioni  o  modificazioni  da
apportare, pero', con il consenso dell'interessato),  e  ritiene  che
l'imputato si asterra' dal commettere ulteriori  reati;  nell'ipotesi
in  cui,  invece,  il  pubblico  ministero  neghi  il  consenso  alla
richiesta, e' previsto che debba enunciare le ragioni  del  dissenso;
in tal caso, ove il giudice rigetti  la  richiesta,  l'imputato  puo'
rinnovarla prima dell'apertura del dibattimento di primo grado. 
    Il suddetto modello  procedimentale,  introdotto  nel  codice  di
procedura penale, come sopra detto, con la  legge  n.  67  del  2014,
prevedendo la possibilita' della sospensione con messa alla prova nel
corso delle indagini preliminari, risponde ad una evidente  finalita'
di economia processuale, consentendo di  definire  anticipatamente  i
procedimenti nei quali vi sia, gia' nella suddetta fase, un  concreto
interesse dell'indagato ad accedere alla messa alla  prova,  entro  i
limiti previsti dall'art. 168-bis del codice penale. 
    Per quanto concerne, invece,  il  processo  penale  a  carico  di
imputati minorenni, il sistema che risulta dagli articoli 28 e 29 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 non  consente
che la decisione sulla sospensione per messa alla prova possa  essere
assunta nella fase delle indagini preliminari. In questo senso, prima
dell'introduzione, nel codice di procedura penale, dell'art. 464-ter,
era orientata la dottrina assolutamente prevalente. Gia'  la  lettera
della norma dell'art. 28 fa riferimento al  «processo»  (comma  1)  e
all'«imputato»  (comma  3),  indicando,   in   tal   modo,   che   il
provvedimento  di  sospensione  con  messa  alla  prova  puo'  essere
adottato solo dopo  l'esercizio  dell'azione  penale  e,  quindi,  in
nessun caso ad opera del giudice  per  le  indagini  preliminari.  Si
aggiunga che l'art. 29 del decreto del Presidente della Repubblica n.
448/1988 prevede che il giudice, ove ritenga, decorso il  periodo  di
sospensione  del  processo,  negativo  l'esito  della   prova,   deve
provvedere «a norma degli articoli 32 e 33» del medesimo decreto  del
Presidente della Repubblica, norme che disciplinano, rispettivamente,
l'udienza preliminare e l'udienza dibattimentale, che  costituiscono,
pertanto, la sede «naturale» di  applicazione  dell'istituto.  Se  ne
deve desumere che la  sospensione  non  puo'  essere  disposta  prima
dell'udienza preliminare. Aderendo a questa scelta  del  legislatore,
si e' sostenuto in dottrina che «e'  naturale  che  l'adozione  della
misura della messa alla prova venga collocata in un momento in cui le
indagini  si  presumono  complete,  il   contraddittorio   ha   spazi
istituzionali di espressione, il giudice ha  poteri  di  integrazione
probatoria ed  ha  una  struttura  collegiale  (propria  del  giudice
specializzato anche nella fase dell'udienza preliminare, n.d.r.)  che
offre competenze specialistiche  essenziali  per  il  giudizio  sulla
persona che la messa  in  prova  presuppone».  Peraltro,  anche  dopo
l'introduzione dell'art. 464-ter del codice di procedura  penale,  il
modello  procedimentale  non   cambia   per   gli   indagati/imputati
minorenni. Ai sensi dell'art. 1, comma 1, del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 448/1988, «nel procedimento a carico di minorenni
si osservano le disposizioni del presente decreto e,  per  quanto  da
esse non previsto, quelle del codice di procedura penale»,  le  quali
hanno,  dunque,  una  portata  e   un'applicazione   residuali.   Con
riferimento in particolare  alla  messa  alla  prova,  l'innesto  nel
processo penale minorile delle norme del codice di  procedura  penale
che disciplinano la sospensione del procedimento con messa alla prova
nel corso delle indagini preliminari e' impedito, allo stato, proprio
dalle sopra menzionate  disposizioni  degli  articoli  28  e  29  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  448/1988,  le  quali
ammettono - e dunque prevedono  -  l'applicazione  della  messa  alla
prova  solo  nelle  fasi  processuali  dell'udienza   preliminare   e
dell'udienza dibattimentale, chiudendo ogni spazio possibile per  una
eventuale   applicazione   dell'istituto   nella   fase   antecedente
all'esercizio dell'azione penale. 
    2. Occorre tuttavia interrogarsi, rispondendo alle sollecitazioni
del difensore  dell'interessato  nel  procedimento  de  quo,  se  sia
ragionevole e conforme al principio di uguaglianza posto dall'art.  3
della Costituzione escludere del tutto la possibilita' di sospensione
del procedimento con messa  alla  prova  nella  fase  delle  indagini
preliminari, per gli autori di reato minorenni, almeno  nei  casi  in
cui la messa alla prova sia richiesta dallo stesso indagato, dato che
siffatta possibilita' e' ora prevista per i maggiorenni. 
    E' indubbio che l'istituto previsto dall'art. 28 del decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  448/1988  presenta   significative
differenze, sia sul piano strutturale  che  funzionale,  rispetto  al
corrispondente istituto previsto per gli adulti. Tali differenze sono
state messe bene in luce nell'ordinanza della  Prima  sezione  penale
della Corte di cassazione del 5 dicembre 2017 - 12 aprile 2018 che ha
dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli  articoli  29  del  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 e 657-bis del  codice  di
procedura penale nella parte in cui non prevedono  che,  in  caso  di
esito negativo della messa  alla  prova  di  soggetto  minorenne,  il
giudice deve determinare la  pena  da  eseguire  tenuto  conto  della
consistenza  e  della  durata  delle   limitazioni   patite   e   del
comportamento  tenuto   dal   minorenne   durante   il   periodo   di
sottoposizione  alla  messa  alla  prova.  Ebbene,  tali   differenze
consistono, sul piano strutturale, nel fatto che la messa alla  prova
per gli  imputati  minorenni:  1)  non  ha  limitazioni  oggettive  e
soggettive; 2) comporta lo svolgimento di attivita' di  osservazione,
trattamento  e  sostegno  e  l'assoggettamento  a  disposizioni   che
prescindono  da  richieste  o  dal   consenso   del   minore   (cfr.,
incidentalmente, Corte costituzionale n. 125/1995; sotto quest'ultimo
profilo,  peraltro,  la  dottrina  prevalente   ritiene   presupposto
implicito della messa alla prova il consenso del minore, inteso  come
chiara manifestazione  della  volonta'  di  sottoporsi  al  programma
elaborato, o, almeno,  l'esplicita  disponibilita'  allo  svolgimento
delle attivita' previste dal  programma  di  intervento);  3)  ha  ad
oggetto, sul piano contenutistico, prescrizioni variamente modulabili
e  almeno  tendenzialmente  connotate  da  una  minore  afflittivita'
(salva, tuttavia, l'ipotesi della messa alla prova con inserimento in
comunita'); 4) ha una durata diversa; 5) il suo esito e' strettamente
correlato con la valutazione della personalita' dell'imputato  e  dei
relativi momenti  evolutivi.  Sotto  il  profilo  funzionale,  rileva
ancora la Corte che «mentre la presenza, nel caso  della  messa  alla
prova per  gli  adulti,  del  lavoro  di  pubblica  utilita'  connota
l'istituto    in    termini    prettamente     afflittivi,     questa
caratterizzazione, nel caso dell'istituto minorile, assume un rilievo
eventuale e comunque meno pregnante, a favore delle istanze educative
che sono proprie del processo minorile». 
    Sotto quest'ultimo aspetto, l'istituto della messa alla prova per
gli imputati minorenni e la relativa  sospensione  del  processo  per
controllarne l'esito «non possono prescindere dalla redazione di  uno
specifico progetto che deve essere  idoneo  a  raggiungere  lo  scopo
della socializzazione del minore e  prevedere,  in  particolare,  gli
impegni precisi che l'imputato assume poiche' il patto sottostante al
probation implica, di fronte alla rinuncia dello Stato  a  proseguire
il processo,  l'impegno  positivo  dell'incolpato  di  cambiamento  e
recupero» (in questo senso v.  Cassazione,  sezione  2,  sentenza  n.
46366 dell'8 novembre 2012 - 30 novembre 2012, rv. 255067).  Appaiono
quindi  piu'  sfumate,  sotto  questo  profilo,  le  differenze   con
l'omologo istituto introdotto per i maggiorenni in quanto  anche  per
questi ultimi e' previsto un «programma di trattamento» che per  «sua
natura  e'  caratterizzato  dalla   finalita'   specialpreventiva   e
risocializzante che deve perseguire e deve percio' essere  ampiamente
modulabile, tenendo conto  della  personalita'  dell'imputato  e  dei
reati oggetto dell'imputazione» (cfr. Corte costituzionale,  sentenza
n. 91 del 2018). 
    I  suddetti   elementi   differenziali,   rilevanti   sul   piano
strutturale e funzionale (con le precisazioni  sopra  indicate),  non
sembrano tuttavia di  portata  e  significato  tali  da  giustificare
l'esclusione della  possibilita'  per  il  minore  di  accedere  alla
sospensione del processo con messa alla prova gia' nella  fase  delle
indagini preliminari, come previsto dal codice  di  procedura  penale
per i soggetti maggiorenni all'epoca del fatto-reato. 
    Si considerino, infatti, quelle che  sono  le  finalita'  proprie
dell'istituto nel processo penale minorile: come  sottolineato  dalla
dottrina, la messa alla prova costituisce strumento di attuazione  di
alcuni «obiettivi tipici dei sistemi di giustizia minorile», quali la
rapida uscita dal circuito penale, la  tempestivita'  dell'intervento
istituzionale,   l'esigenza   di   fornire   al    minore    risposte
individualizzate  onde  favorire  il  suo  processo  di  recupero   e
cambiamento. L'istituto permette, inoltre, di  «evitare  gli  effetti
dannosamente etichettanti del  processo  penale»,  impedendo  che  il
minore debba sopportare per l'intera vita «le conseguenze di  episodi
e  manifestazioni  di  devianza  giovanile,  non   sicuramente,   ne'
irreversibilmente sintomatiche di antisocialita'». 
    Sul piano della normativa sovranazionale,  si  e'  osservato  che
l'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 «si
collega  idealmente  all'orientamento   deistituzionalizzante   delle
regole  di  Pechino»  (regole  minime  per  l'amministrazione   della
giustizia minorile, adottate  dalle  Nazioni  Unite  il  29  novembre
1985): il paragrafo 18.1 prevede  che  «l'autorita'  competente  puo'
concludere  il   giudizio   mediante   forme   molto   diversificate,
consentendo una grande flessibilita' allo scopo di evitare per quanto
possibile il collocamento in istituzione», e, in particolare, tra  le
altre misure, puo' applicare quelle  di  probation.  Inoltre,  tra  i
principi guida per il giudizio e la sentenza, il paragrafo 17 prevede
che «la tutela del minore deve essere il criterio determinante  nella
valutazione del suo caso» (comma 1, lettera d)), e  che  «l'autorita'
competente ha  il  potere  di  sospendere  il  procedimento  in  ogni
momento» (comma 4). Alle  c.d.  regole  di  Pechino  e'  ispirato  il
decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, il quale delinea
un modello di giustizia minorile «sorretto dalla prevalente finalita'
di recupero del minorenne e di tutela della sua personalita', nonche'
da      obiettivi      pedagogico-rieducativi      piuttosto      che
retributivo-punitivi, richiamati  dal  preambolo  dell'art.  3  della
legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, e dagli  articoli  1  e  9  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988»  (in  questo
senso Corte costituzionale, sentenza n.  272  del  2000).  L'art.  1,
comma 1, del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  448/1988
stabilisce che  le  disposizioni  che  devono  essere  osservate  nel
processo minorile, ivi comprese quelle del codice di procedura penale
per quanto non previsto dallo stesso  decreto  del  Presidente  della
Repubblica, «sono applicate in modo adeguato alla personalita' e alle
esigenze educative del minorenne». L'art. 9, comma 1, prevede che  il
pubblico ministero ed il giudice devono acquisire «elementi circa  le
condizioni e le risorse personali, familiari,  sociali  e  ambientali
del minorenne al fine di accertarne l'imputabilita'  e  il  grado  di
responsabilita', valutare la  rilevanza  sociale  del  fatto  nonche'
disporre  le  adeguate  misure  penali  e  adottare   gli   eventuali
provvedimenti civili», e possono a tal fine assumere informazioni  da
persone che abbiano avuto rapporti con  il  minorenne  e  sentire  il
parere di esperti, anche senza alcuna formalita'. 
    Il fondamento costituzionale dell'istituto della sospensione  del
processo con messa alla prova - che consente,  anche  in  virtu'  del
carattere individualizzato e  individualizzatile  degli  impegni  che
danno sostanza al progetto di intervento elaborato  dai  servizi,  di
perseguire i suddetti obiettivi «pedagogico-rieducativi» -  e'  stato
quindi rinvenuto nel combinato disposto degli articoli  27,  comma  3
[principio del finalismo  rieducativo  delle  pene]  e  31,  comma  2
[principio della protezione dell'infanzia e della  gioventu'  tramite
gli istituti necessari a tale scopo, che devono essere favoriti dallo
Stato]  della  Costituzione.  Tali  norme  costituzionali,  come   la
dottrina ha efficacemente detto, affidano al legislatore  il  compito
di individuare, per gli imputati  minorenni,  strumenti  sanzionatori
che ne favoriscano il  recupero,  tenendo  conto  della  specificita'
della  loro  condizione  psicofisica  e  delle   risorse   personali,
familiari e socio-ambientali dell'interessato. 
    Tutto cio' premesso, appare, almeno ad una valutazione  sommaria,
quale quella  che  compete  al  giudice  a  quo,  non  manifestamente
infondato  il  dubbio   sulla   legittimita'   costituzionale   della
disposizione dell'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 448/1988 nella parte in cui non prevede  la  possibilita'  per  il
giudice di disporre la messa alla prova  nella  fase  delle  indagini
preliminari, per contrasto con i parametri costituzionali di cui agli
articoli 3, 27, comma 3, e 31, comma  2,  della  Costituzione,  sopra
richiamati. 
    Sotto il primo profilo, infatti, non appare ragionevole la scelta
operata dal legislatore, che ha introdotto siffatta possibilita'  per
gli adulti, mantenendo la preclusione nel processo  penale  a  carico
dei  minorenni.  Un'eventuale  messa  alla  prova  nella  fase  delle
indagini preliminari, che  potra'  essere  sollecitata  dallo  stesso
interessato mediante specifica richiesta, come appunto  nel  caso  in
esame, consente di abbreviare i tempi  del  procedimento,  collocando
l'esperimento della prova in una fase senz'altro piu'  prossima  alla
commissione del fatto-reato, attraverso misure di probation  volte  a
favorire il recupero del minore nel periodo in  cui  ve  ne  e'  piu'
bisogno. Se il reato costituisce manifestazione di una situazione  di
disagio  (psicologico,  socio-familiare  o  ambientale)  del  minore,
espressa attraverso la rottura delle regole del  «patto  sociale»,  e
l'interessato si assume la  responsabilita'  del  fatto,  non  appare
ragionevole, per intervenire con misure appropriate e  «mettere  alla
prova» il minore che accetti di assumere impegni volti a  favorire  e
accompagnare  il  proprio  processo  di  cambiamento  e  che  abbiano
eventualmente anche una  valenza  riparativa  delle  conseguenze  del
reato,  attendere  la  conclusione  delle  indagini  preliminari,  la
notifica dell'avviso ex art. 415-bis del codice di procedura  penale,
l'eventuale interrogatorio dell'indagato, la richiesta  di  rinvio  a
giudizio, la fissazione  dell'udienza  preliminare,  la  celebrazione
dell'udienza. Tutto cio' appare, inoltre, contraddittorio rispetto  a
quelli che  sono  gli  obiettivi  tipici  del  sistema  di  giustizia
minorile, come sopra delineati, e cioe' la rapida uscita  del  minore
dal circuito penale, la tempestivita' dell'intervento istituzionale e
l'esigenza di fornire allo stesso, in  tempi  ragionevolmente  brevi,
risposte individualizzate. 
    Da cio' deriva il probabile contrasto  dell'attuale  sistema  non
solo, per le ragioni sopra esposte, con i principi costituzionali  di
ragionevolezza e di uguaglianza dei  cittadini  davanti  alla  legge,
poiche' si consente agli indagati/imputati maggiorenni  di  usufruire
di  una  possibilita'  preclusa  per  i  minorenni,  senza  che  tale
differenza  trovi  una  ragionevole   giustificazione   nelle   sopra
accennate differenze degli omologhi istituti della messa  alla  prova
nel processo penale per adulti e nel  processo  penale  minorile,  ma
anche con il  principio  costituzionale  che  impone  allo  Stato  di
favorire gli  istituti  necessari  ai  fini  della  protezione  della
gioventu' (art. 31, comma 2 della Costituzione), non potendosi negare
tale valenza «protettiva» - in termini di promozione del  recupero  e
del cambiamento personale  e  sociale  del  minore  coinvolto  in  un
procedimento penale - all'istituto della messa alla prova, e  con  il
principio costituzionale del «finalismo rieducativo»  dell'intervento
sanzionatorio penale (art. 27, comma  3  della  Costituzione).  Sotto
quest'ultimo profilo, preme inoltre rilevare che lo svolgimento della
«prova» in un periodo temporale piu' prossimo  alla  commissione  del
reato (quando, ragionevolmente, vi e' piu' bisogno di misure adeguate
che favoriscano il processo di recupero)  soddisfa  l'esigenza  della
finalita' rieducativa dell'intervento penale, mentre quanto  piu'  ci
si allontana dal tempo in cui si colloca il fatto-reato tanto meno il
minore coinvolto nella relativa vicenda giudiziaria potra'  avvertire
l'effetto   rieducativo   e   risocializzante   degli   impegni   che
caratterizzano il progetto di intervento, il  quale,  rispettando  la
consueta sequenza procedimentale, nell'impossibilita'  di  anticipare
la messa alla prova alla fase delle indagini preliminari, puo' essere
elaborato e trovare attuazione anche a distanza di un  lungo  periodo
di  tempo  dalla  commissione  del  reato,   quando   le   condizioni
dell'interessato possono essere significativamente  mutate.  Vero  e'
che, in tal caso, possono essere applicati altri  istituti,  come  il
perdono giudiziale, ma,  in  tal  modo,  si  priva  il  minore  della
possibilita' di fruire degli effetti risocializzanti della messa alla
prova e di una sentenza ampiamente «liberatoria», con  rapida  uscita
dal  circuito  penale,  proprio  nel  periodo,   piu'   vicino   alla
manifestazione della «devianza»  del  soggetto,  in  cui  vi  sarebbe
maggiore bisogno di un intervento che corrisponda alle  sue  esigenze
educative. 
    Come affermato dalla Corte costituzionale nella  sentenza  n.  91
del 2018 con riferimento alla messa alla prova per  gli  adulti,  «il
trattamento  programmato  non  e'  una  sanzione  penale,  eseguibile
coattivamente, ma da' luogo a  un'attivita'  rimessa  alla  spontanea
osservanza  delle  prescrizioni  da  parte  dell'imputato,  il  quale
liberamente  puo'  farla  cessare  con  l'unica  conseguenza  che  il
processo sospeso  riprende  il  suo  corso».  Non  e',  tuttavia,  da
ritenere inconferente il  richiamo  al  finalismo  rieducativo  delle
«pene» di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione, poiche'  anche
nella messa alla prova per  i  minorenni,  come  in  quella  per  gli
adulti, il programma di  intervento,  pur  se  liberamente  accettato
dall'interessato, puo'  presentare  in  concreto,  come  riconosciuto
dalla Corte di cassazione (cfr. la gia' citata ordinanza della  prima
sezione penale del 5 dicembre 2017 - 12 aprile  2018),  significativi
profili di afflittivita' (come nelle situazioni in cui sono  previsti
obblighi di  fare  o  l'obbligo  di  permanenza  all'interno  di  una
struttura residenziale per seguire un programma di  recupero),  anche
se  sempre  finalizzati  ad  un  obiettivo  di   natura   prettamente
educativa. Il trattamento che e' alla base della messa alla prova  e'
quindi   per   sua    natura    «caratterizzato    dalla    finalita'
specialpreventiva  e  risocializzante  che  deve  perseguire  e  deve
percio' essere ampiamente modulabile tenendo conto della personalita'
dell'imputato  e   dei   reati   oggetto   dell'imputazione»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 91 del 2018), considerazioni che  ben  si
adattano anche alla messa alla prova dei minorenni. 
    Per le ragioni  sopra  esposte,  si  ritiene  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  28
del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  448/1988,   con
riferimento agli articoli 3,  31,  comma  2,  e  27,  comma  3  della
Costituzione, nella parte in  cui  non  prevede  la  possibilita'  di
disporre la messa alla prova nella fase delle  indagini  preliminari.
In caso di ritenuta  fondatezza  della  questione  e  di  conseguente
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  con  sentenza  c.d.
«additiva», il giudice per le indagini preliminari,  in  presenza  di
richiesta dell'indagato di sospensione  del  procedimento  con  messa
alla prova - richiesta che, considerata la fase in cui ci  si  trova,
costituira' l'ordinario atto di impulso -  dovra'  sentire  le  parti
(come gia' previsto dall'art. 28) in apposita  udienza  camerale.  Se
ritiene  di  poter  accogliere  la  richiesta,  dopo  aver  acquisito
informazioni sulla personalita' del minore ai sensi dell'art.  9  del
decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  448/1988,  il  giudice
potra' chiedere al pubblico  ministero  di  formulare  l'imputazione,
analogamente a  quanto  previsto  dall'art.  464-ter  del  codice  di
procedura penale, e ai servizi  minorili  dell'amministrazione  della
giustizia di elaborare il progetto di intervento ai  sensi  dell'art.
27 del decreto legislativo n. 272 del  1989.  Nessuna  lacuna  verra'
quindi  a  crearsi,  ad  avviso  di   questo   giudice,   nell'ambito
dell'ordinamento nell'ipotesi in cui  la  Corte  ritenga  fondata  la
questione prospettata. 
    Neppure  l'eventuale  perdita   dell'apporto   delle   competenze
specialistiche dei giudici onorari che compongono il collegio in sede
di udienza preliminare e di udienza  dibattimentale  puo'  costituire
motivo per superare i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  della
norma in esame, in quanto, al fine di valutare  la  personalita'  del
minore e le sue risorse personali, sociali e ambientali,  il  giudice
puo' avvalersi dell'aiuto dei servizi e, come previsto dal richiamato
art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988,  puo'
assumere informazioni da persone che abbiano avuto  rapporti  con  il
minore e puo' sentire, anche senza formalita', il parere  di  esperti
(tra  i  quali  possono  certamente  annoverarsi  anche  gli   stessi
componenti onorari del Tribunale per i minorenni). 
    3. La questione prospettata appare infine rilevante nel  presente
procedimento. 
    Q.G. ha ricevuto la notifica dell'avviso della conclusione  delle
indagini preliminari di cui all'art. 415-bis del codice di  procedura
penale in relazione  ai  reati  di  violenza  privata  e  di  lesione
personale, commessa  al  fine  di  realizzare  la  suddetta  violenza
privata, reati, procedibili d'ufficio, consumati il 23 dicembre 2016. 
    In base agli atti messi a disposizione  dal  pubblico  ministero,
non emergono elementi che possano giustificare la  pronuncia  di  una
sentenza di proscioglimento ai sensi  dell'art.  129  del  codice  di
procedura penale, atteso che l'ipotesi accusatoria appare  suffragata
dalla denuncia-querela della persona offesa, dal referto  del  pronto
soccorso del 23 dicembre 2016, che documenta le lesioni subite  dalla
denunciante, dall'annotazione della Squadra volante della Questura di
Firenze del 23 dicembre 2016 e dal verbale di  sommarie  informazioni
rese da L.F., che ha assistito ai fatti. 
    Il Q., sentito in udienza camerale il 25 febbraio  2019,  non  ha
contestato i  fatti,  ed  ha  dimostrato  volonta'  riparativa  e  di
recupero tramite richiesta  di  messa  alla  prova  finalizzata  allo
svolgimento di attivita'  volte  alla  sua  risocializzazione.  Anche
dalla relazione dell'U.S.S.M. di Firenze del 7 febbraio  2019  emerge
che l'interessato parla con «serieta' e schiettezza» del fatto-reato,
commesso ai danni di una  ragazza  alla  quale  era  sentimentalmente
legato. 
    Allo stato, tuttavia, la richiesta di messa alla prova  non  puo'
essere accolta, non essendo consentita dall'art. 28 del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  448/1988,  per  le  ragioni  sopra
esposte, la sospensione del procedimento con messa alla  prova  nella
fase delle indagini preliminari  per  i  soggetti  minorenni,  e  non
essendo possibile, stanti le specifiche previsioni degli articoli  28
e 29  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  448/1988,
l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 464-ter del  codice
di procedura penale. 
    Solo, quindi, un'eventuale dichiarazione  di  incostituzionalita'
della norma dell'art. 28 del decreto del Presidente della  Repubblica
n.  448/1988  renderebbe  possibile  l'accoglimento  della  richiesta
dell'interessato, precluso dall'attuale disciplina, non  «adattabile»
neppure tramite operazioni ermeneutiche costituzionalmente orientate,
considerata  la  chiara  indicazione  legislativa  che   colloca   la
sospensione del «processo» per messa  alla  prova  per  gli  imputati
minorenni nelle sole fasi  dell'udienza  preliminare  e  dell'udienza
dibattimentale. 
    Non resta quindi che disporre l'immediata trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale, con sospensione del procedimento in  corso
in attesa della decisione della Corte.